LA FOTO. I Carabinieri sequestrano a SAN CIPRIANO il muro abusivo costruito nella piazza del paese dal figlio del ras Mauriello, che ammazzò due rappresentanti dell’Arma

23 Giugno 2022 - 11:37

SAN CIPRIANO D’AVERSA – Incontriamo sempre una certa difficoltà nell’affrontare argomenti che ricadono nel format delle “mogli di”, “cugini di…”, “figli di…”, “nipoti di…” che, nel caso di certi comuni, quelli in cui è stata scritta la vergognosa storia del potere assoluto esercitato dalla criminalità organizzata viene quasi sempre riferito a una genetica discendenza o affinità con soggetti più o meno noti per quello che hanno fatto come camorristi.

Siccome noi qualcosa sappiamo sul percorso culturale-filosofico con il quale si arriva alla famosa frase sulle “colpe dei padri che non possono ricadere sui figli” qualche pensiero ci percorre quando dobbiamo parlare di figli, fratelli, cognati, zii, cugini, eccetera, di camorristi più o meno noti.

Di solito abbiamo risolto la questione nei seguenti termini: se nelle nostre cronache incrociamo un parente o un affine di un boss, di un ras, che svolge funzioni pubbliche, che ricopre cariche istituzionali o politiche o che ancora è titolare di rapporti economici con i Comuni e con gli altri enti pubblici del territorio, ci domandiamo se il soggetto in questione, avendo legittimamente deciso di operare e trascorrere la propria vita nello stesso paese, nella stessa città in cui suo padre, suo fratello, suo cugino eccetera “hanno fatto la camorra”, dove hanno ammazzato, minacciato, installato ordigni, sparato contro saracinesche e vetrine, abbia mai espresso, ovviamente senza rinnegare l’affetto che a prescindere può legare ognuno ad un congiunto, al di là delle colpe del medesimo, parole di condanna e presa di distanza rispetto alle esperienze e alle scelte di vita di un proprio parente.

Neanche per sbaglio è mai successo.

Neanche la cosiddetta eccezione che conferma la regola. Zero. La regola non è generalmente applicabile. Se un figlio di un boss o di un killer decide di trasferirsi altrove per ricostruire una trama esistenziale distinta e distante, allora non ha nessun obbligo materiale e morale di usare quantomeno le parole della dissociazione. Stesso discorso se decide, ripetiamo legittimamente, di rimanere a vivere a San Cipriano, a Casal di Principe, a Casapesenna, a Villa Literno, non partecipando però ad attività economiche che lo portano a concorrere all’aggiudicazione di gare d’appalto e dunque all’introito di danaro proveniente dalle casse pubbliche, dalle tasse pagate dai cittadini.

La dissociazione, l’intervento pubblico, la rinnegazione morale rispetto alle cose compiute da un padre, da un fratello, ecc., diventa invece strettamente necessaria, a nostro avviso irrinunciabile, nel momento in cui si hanno rapporti con la pubblica amministrazione in un contesto territoriale dove poi è legittimo nutrire il sospetto che quell’albero genealogico incida sul successo o sull’insuccesso (quasi sempre il successo) della propria attività professionale che si esplica in una fatturazione connotata spesso al 100% da importi corrisposti da comuni e altri enti locali.

Come sempre siamo stati puliti e delicati anche nei confronti del signor Vittorio Mauriello, il quale tra le altre cose avrebbe potuto in passato, ma anche oggi, pronunciare parole di netta condanna del clan dei Casalesi e delle sue attività, anche forte del comportamento carcerario di suo padre Francesco che ultimamente, precisamente nel marzo scorso, ha ricevuto un permesso premio per buona condotta pur essendo stato condannato all’ergastolo per l’omicidio da noi più volte citato di due Carabinieri.

Non l’ha fatto e dunque quella che sarebbe una normale notizia sulla presunto reato di difformità edilizia non può non essere preceduta, per i motivi appena spiegati e non per altro, dalla identificazione delle sue parentele, delle parentele di Vittorio Mauriello che in alto vedete fotografato insieme al sindaco Vincenzo Caterino al taglio del nastro con cui viene festeggiato l’affidamento della gestione di una piazza di San Cipriano per attività economiche e commerciali nell’ambito di una normativa esistente che viene utilizzata, ormai abitualmente, da quasi tutti i Comuni.

Nella convenzione tra il Comune di San Cipriano, ente derivato dalla Repubblica Italiana, e il figlio dell’ergastolano che ammazzò due Carabinieri, era prevista l’installazione di un semplice gazebo.

E invece, come spesso capita, Vittorio Mauriello non è il primo e non sarà l’ultimo, è stato edificato un muro in cemento, cioè non mobile e dunque sicuramente abusivo rispetto al perimetro disegnato dalla convenzione collegata all’affidamento.

Nei giorni scorsi i Carabinieri, riteniamo quelli della stazione di San Cipriano, i Carabinieri hanno sequestrato parte della struttura, cioè quella in muratura.

Insomma, voi volete sfruculiare la mazzarella. Non vi dissociate dalla camorra, non prendete le distanze dai vostri congiunti che hanno ammazzato Carabinieri, volete partecipare, nello stesso Comune che ospitò a suo tempo “le gesta” del vostro genitore, e poi costruite anche un muro di cemento andando ad insediare una struttura fissa in netta e palmare difformità rispetto a quello che vi era consentito dalla convenzione con il Comune.

E vabbè, allora ve lo andate a cercare.