AVERSA. IL SACCO DELLA CITTA’. Tar o non Tar, i Della Gatta non possono costruire dei palazzi in via Santa Marta, in zona A
28 Settembre 2023 - 17:01
In calce all’articolo l’atto di diniego del dirigente Serpico, che stavolta ha fatto il “bravo ragazzo”, emesso lo scorso 11 agosto.
AVERSA (gianluigi guarino) – Il Comune di Aversa pare si sia finalmente costituito in giudizio davanti al Tar Campania, al quale si è rivolto, attraverso l’utilizzazione della sigla aziendale “La Morgetta”, la famiglia Della Gatta, per impugnare un atto (un diniego alla SCIA presentata rispetto agli immobili residenziali in centro storico), opposto, indovinate da chi? Proprio dal Comune di Aversa.
Il ricorso al Tar è stato presentato nei primi giorni di settembre e l’udienza è fissata per l’11 ottobre ed ora ci aspettiamo dal Comune di Aversa una costituzione dai contenuti portentosi.
L’uomo con la fascia tricolore ed il vero sindaco di Aversa, cioè a Marco Villano, hanno così evitato lo “scuorno” e lo sconcio di una mancata costituzione e, dunque, di una gravissima e surreale sconfessione dell’atto di diniego realizzato da Raffaele Serpico, dirigente del Comune, in nome e per conto di quest’ultimo, dato che, fino a prova contraria, come potrete rendervi conto in calce a questo articolo, in cima al documento, ci sono proprio le insegne ufficiali del Comune di aversa.
Ma non basterà costituirsi. Noi di CasertaCe proveremo ad acquisire le pagine di questa costituzione per confrontale con quelle del ricorso, in modo da capire se il Comune, nelle persone di quello che indossa la fascia tricolore e di Marco Villano in Graziano,
Quelle ragioni che hanno portato alla sospensione dei lavori più scandalosi della storia di Aversa.
UNA RICOSTRUZIONE ORDINATA DELLA VICENDA
Finalmente, avendo trovato tempo per leggere in maniera dettagliata l’atto contenente il diniego opposto dal dirigente del comune di Aversa con delega all’Edilizia Privata, costituente il primo e più importante sottoprodotto della ripartizione dell’Urbanistica, siamo riusciti a venire a capo della situazione relativa al mega complesso abitativo che la sempre sobria, modesta e gentile famiglia Della Gatta (ovviamente stiamo ironizzando) sta edificando in pieno centro storico, in zona A2, in via Santa Marta ad Aversa.
Questo diniego risale allo scorso 11 agosto e riguarda la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) numero 19 del 18 gennaio 2022.
Serpico utilizza doverosamente il presupposto scaturito dalla sentenza del Tar Campania al quale i Della Gatta si erano rivolti, trovando più di una crepa in un precedente diniego, firmato, anche in quell’occasione, da un Serpico sicuramente meno lucido e meno in forma.
” (…) Vista la sentenza del Tar Campania del 12.07.2023 – scrive il dirigente – con la quale è stato annullato il provvedimento di questo settore per le seguenti motivazioni […] ‘l’amministrazione non ha evidenziato la ricorrenza di prevalenti interessi pubblici rispetto a quelli del privato’ …”.
L’interesse pubblico, aggiungiamo noi meglio tardi che mai, per Serpico esiste ed è chiaramente prevalente rispetto a quello privato, ovvero a quello dei Della Gatta. Nel provvedimento di diniego viene scritto, infatti, con molta chiarezza, che la possibilità attribuita alla società La Morgetta di sviluppare le attività sottese alla SCIA presentata, determinerebbe – così è testualmente riportato nel provvedimento la cui copia, ripetiamo, è in calce all’articolo – una violazione di legge. Per cui, chiosiamo noi, più interesse pubblico di questo, si muore.
Non vogliamo certo dire che CasertaCe conosca le leggi dell’Urbanistica meglio del dirigente Serpico, per cui, non essendo così, possiamo tranquillamente affermare che questi, per un lungo periodo di tempo, abbia fatto il finto tonto.
Tale osservazione diventa doverosa nel momento in cui leggiamo la seconda parte di questo documento di diniego, dato che si tratta di una piena, totale adesione a tutto ciò che questo giornale scrive sulle attività edilizie compiute nelle zone A, sia per quanto riguarda Aversa, ma non solo per Aversa, dato che uno speculare e doverosissimo “casino” lo abbiamo piantato anche per certi lavori in aumento di volumetrie realizzati dall’imprenditore napoletano Fontana nel centro di Caserta, per la precisione in via Vico (CLICCA E LEGGI).
Quando diciamo che abbiamo capito bene questa vicenda di via Santa Marta, ci riferiamo alla comprensione dei punti di partenza da cui ha preso le mosse questa ardita e, a nostro avviso piuttosto spregiudicata operazione immobiliare.
IL PACCO DI POZZI A DELLA GATTA. MA A NOI NON FREGA UN TUBO
Della Gatta afferma di essere una vittima. Ma questo non lo deve dire a noi, bensì al suo amico Pozzi che gli ha venduto un permesso a costruire che il Comune di Aversa gli concesse nel 2014 e relativo all’area in cui sorgeva l’ormai famoso e famigeratissimo opificio artigianale di famiglia.
Certo, al tempo CasertaCe non era così attivo e organizzato come oggi sulle vicende urbanistiche. Acchiappava e trattava quel che poteva. Nel citato periodo, il 2014, ad esempio, andava molto di moda la vexata quaestio dell’area ex Texas Instruments, acquistata dalla famiglia Cesaro, cioè dalla famiglia di Giggin ‘a purpett.
Non avemmo la fortuna di incrociare il permesso a costruire attribuito per l’area di via Santa Marta. Altrimenti, avremmo avuto sicuramente già da dire all’ora, così come stiamo facendo oggi.
E non è perché lei, voi, i Della Gatta, avete preso un pacco, ora potete costruire quel che vi pare e piace.
Ciò, perché noi, seppur attenti e analitici conoscitori delle leggi in materia urbanistica, non siamo riusciti a trovare, scusateci la battuta, tra le eccezioni e le deroghe pure esistenti, una che dia beneficio alle necessità e agli obiettivi di chi ha preso un pacco.
Ergo, e lo diciamo per l’ennesima volta, voi vi chiamate Della Gatta, ma anche se vi foste chiamati Rossi, Verdi, o Pincopalla, sarebbe stata la stessa cosa. Ne fate sempre un fatto personale, solo perché vi mancano i contenuti per organizzare serie obiezioni di merito, rispetto a quello che Casertace sostiene nei suoi articoli. La vostra SCIA ha come base la copertura giuridica dell’articolo 7, comma 5, della Legge Regionale 2009, numero 19. Un comma 5 dell’articolo 7, utilizzato, necessariamente, nella versione riveduta e corretta, espressione che, nei documenti ufficiali, si trasforma in “così sostituito dall’articolo 1, comma 1, lettera zz), della legge regionale 5 gennaio 2011, n. 1...”, in pratica la prima finanziaria firmata dall’allora governatore Stefano Caldoro.
Art. 7. Riqualificazione aree urbane degradate. Per immobili dismessi, in deroga agli strumenti urbanistici generali e ai parametri edilizi, con particolare riferimento alle altezze fissate dagli stessi strumenti purché nel rispetto degli standard urbanistici di cui al decreto ministeriale n. 1444/1968 e nel rispetto delle procedure vigenti, sono consentiti interventi di sostituzione edilizia a parità di volumetria esistente, anche con cambiamento di destinazione d’uso, che prevedono la realizzazione di una quota non inferiore al trenta per cento per le destinazioni di edilizia sociale di cui all’articolo 1, comma 3, del decreto ministeriale 22 aprile 2008. La volumetria derivante dalla sostituzione edilizia può avere le seguenti destinazioni: edilizia abitativa, uffici in misura non superiore al dieci per cento, esercizi di vicinato, botteghe artigiane.
Se il presupposto fosse rappresentato solo dall’articolo 7, comma 5, così come sostituito eccetera eccetera, il discorso sarebbe chiuso. Perché pur sostenendo i Della Gatta di aver dedicato il 32% all’edilizia sociale, la violazione del livello della volumetria di quello che era l’opificio è talmente grande da chiudere ogni discussione sia sulla possibilità di derogare allo strumento urbanistico vigente attraverso la sostituzione, sia alla possibilità di trovare nelle norme di carattere generale relative alla zonizzazione, un appiglio per giustificare anche un metro cubo in più rispetto alla consistenza volumetrica originaria dell’impianto.
ARTURO POZZI E IL PUNTO DEBOLE DELLA FURBATA DEI DELLA GATTA
Ma la partita si è giocata e si sta giocando proprio su quello che Caldoro fece, allargando il livello di applicazione del Piano Casa così come questo era stato recepito dal suo predecessore Antonio Bassolino, con la legge regionale 19/2009, la quale non consentiva nessun aumento di volumetrie nelle zone A.
Caldoro e il centrodestra, invece, modificarono quella legge e allora anche nelle zone A è stata prevista la possibilità di aumenti volumetrici entro e non oltre il 35% ma solo per quegli “edifici realizzati o ristrutturati negli ultimi cinquanta anni“. Il tutto con una ratio evidente: se tu hai costruito un immobile in centro storico negli ultimi 50 anni o l’hai radicalmente ristrutturato questo, ha perso quel valore storico identitario che rende gli interventi nei citati centri storici molto complicati e possibili con abbattimento e ricostruzione tramite il rispetto integrale di volumetrie, forme e colori che si ereditano dall’immobile abbattuto o riqualificato.
E non avevamo alcun dubbio che in questo mondo di… saltasse fuori un professionista, così come successo in altri casi da noi affrontati e in quello di specie l’architetto Arturo Pozzi (non sappiamo se parente di…), il quale nel 1989, quindi dentro all’intervallo dei 50 anni, aveva accatastato, così è scritto nell’atto di diniego a firma di Serpico, “successivi volumi derivanti da demolizioni, ricostruzioni e accorpamenti di particelle“.
Dunque, volumi modificati e successivi, derivanti dall’accatastamento iniziale dell’edificio di proprietà Pozzi e risalente al 1949 e, dunque, ampiamente fuori dai 50 anni.
Quindi, la tesi dei Della Gatta è la seguente. Siccome 33 anni fa (la SCIA è del 2022), nel 1989, l’opificio è stato sensibilmente ristrutturato, scatta quella che noi abbiamo definito nell’articolo su Caserta “l’eccezione dell’eccezione” del Piano Casa di Caldoro che prevede il 35% in più di volumetria (articolo 5 del Piano Casa) rispetto ad un insediamento che diventa residenziale, per effetto di una modifica della destinazione d’uso frutto dell’applicazione dell’articolo 7 comma 5 della legge regionale 2009/19.
Ma Raffaele Serpico ultimamente è diventato un “bravo ragazz”o. Perché solo lui – ed eventualmente i carabinieri, la finanza, la polizia, in uno status di cosiddetta polizia giudiziaria delegata dalla procura – poteva effettuare una ricerca di archivio che dimostrasse l’inutilità dell’atto unilaterale dell’accatastamento delle presunte ristrutturazioni e datato 1989.
“[…]Non sono rinvenuti (in ufficio) titoli autorizzativi delle ristrutturazioni dell’accatastamento del 1989“.
Dunque, se chi ha fatto quelle ristrutturazioni non è perseguibile penalmente, visto che il reato è largamente prescritto (queste aggiungiamo noi), i presunti lavori, ripetiamo, assertivamente e unilateralmente versati dall’architetto Pozzi negli uffici del Catasto, non valgono un tubo come elemento di attivazione dell’eccezione sulla volumetria del 35% in centro storico, così come questa è prevista dal Piano Casa, anche con la modifica compiuta da Caldoro nel 2011.
E ciò non si lega ad una nostra deduzione logica, bensì alla lettura dell’articolo 3 che non lascia adito a dubbi.
Gli interventi edilizi di cui agli articoli 4, 5, 6-bis e 7 (proprio il caso Della Gatta) non possono essere realizzati su edifici che al momento delle presentazione della Denuncia di inizio di attività di edilizia (DIA) o della richiesta del permesso a costruire risultano:
a) realizzati in assenza o in difformità al titolo abilitativo per i quali non sia stata rilasciata concessione in sanatoria
b) collocati all’interno di zone territoriali omogenee di cui alla lettera A) dell’articolo 2 del decreto ministeriale n.1444/1968 o ad esse assimilabili così come individuate dagli strumenti urbanistici comunali, ad eccezione degli edifici realizzati o ristrutturati negli ultimi cinquanta anni qualora non rientrino in altri casi di esclusione ai sensi del presente articolo.
Niente Piano Casa estensivo di Caldoro e niente 35%, visto che i presunti lavori del 1989 sono stati eseguiti senza titolo edilizio e senza alcun ricorso ad una procedura in sanatoria.