L’EDITORIALE. 5 milioni di euro di appalto per “servire” vermi e capelli nei pasti dei bambini della Collecini? Il silenzio servile dei dirigenti scolastici segna il fallimento dell’ennesima riforma

16 Ottobre 2022 - 13:44

La vicenda, portata alla luce da CasertaCE, merita, per la sua importanza, qualche considerazione che tenti di riflettere sulle motivazioni di fondo, che, a nostro avviso, esistono e che rendono i fatti della Collecini molti meno casuali e fortuiti di quanto possa apparire

di Gianluigi Guarino

Tutto è possibile nella vita. Pure che sia in atto un complotto contro la Sirio srl di Caivano, titolare del servizio mensa per tutte le scuole di competenza comunale di Caserta, società assegnataria di una gara d’appalto di un importo di cinque milioni e mezzo di euro circa, a partire dal 2021, per una durata di cinque anni.

Non si può escludere, in teoria, che sia così. E né possiamo spingerci troppo in là con le considerazioni valutative dei fatti che in questi giorni abbiamo rimarcato, assumendo foto apparentemente inequivocabili, provenienti dall’interno del plesso scolastico Collecini di Sala-Briano, relativamente alla sua parte dedicata all’istruzione dell’infanzia e a quella primaria.

Non possiamo spingerci troppo in là fino a quando non contatteremo la Sirio, dato che al momento questa non ha ritenuto di replicare agli articoli e, soprattutto, alle immagini pubblicate da Casertace, in modo da ascoltare e registrare la replica dell’azienda dell’area del Nord-napoletano, il suo punto di vista.

Se, però, non si può escludere a priori che quella roba, la quale fa anche ribrezzo già nel solo e semplice racconto giornalistico, che pare abitare i pasti somministrati ai bambini della Collecini – capelli, vermi e tutto il kit delle schifezze conosciute dal genere umano – non sia frutto di una responsabilità, ancora eventualmente da accertare, dell’azienda, sarebbe, parimenti, sarebbe disonesto intellettualmente scagionare a priori la Sirio srl e la dirigenza della Collecini.

Acriticamente assolutorio non sarebbe, infatti, un approccio professionalmente e moralmente corretto, soprattutto perché, a quattro giorni di distanza dalla pubblicazione del nostro primo articolo (clicca e leggi) e a più di 12 ore di distanza dalla pubblicazione del secondo (clicca e leggi) e del terzo (leggi cliccando QUI), non hanno dato notizie di sé, né l’azienda, né, tanto meno, l’amministrazione comunale di Caserta, la quale, magari attraverso l’assessore Enzo Battarra, che potrà anche, eventualmente, erogare a noi di Casertace qualcosa di simile alla prova muscolare che ha utilizzato ieri sera per un comunicato, per il momento ancora non spedito agli organi di informazione, ma pubblicato solo sul sito istituzionale del Comune (clikka e leggi) per difendere le ragioni e la posizione sua e della giunta Marino sull’altra inquietantissima questione dei disagi pesanti a cui sono sottoposti, ormai da settimane, gli alunni di un’altra scuola primaria, la De Amicis di corso Giannone, con vista diretta verso piazza Vanvitelli e in direzione di quella “roba a forma di bidet” che ospita degnamente, in piena consonanza architettonico-antropologica, i politici casertani che da diversi decenni amministrano (si fa per dire) la città capoluogo.

Esaurite le formulette da Manuale delle giovani marmotte e svolto il compitino del buon garantista, vogliamo solo soffermarci su un aspetto della questione Collecini.

Lo facciamo in quanto non si tratta di un unicum, ma di un atteggiamento che ricorre quasi sempre nel momento in cui si parla e si scrive di problemi, in questo caso vergognosamente gravi se dovesse essere confermato che il cibo arriva in quelle condizioni nei piatti degli alunni del plesso di Sala e di Briano, che toccano le scuole primarie di Caserta, cioè quelle che intrattengono una relazione istituzionale e funzionale diretta con il Comune, ma anche, in parte, quando riguardano gli istituti superiori, le cosiddette secondarie che, invece, il rapporto istituzionale e funzionale ce l’hanno con l’amministrazione provinciale.

Noi abbiamo, come si soleva dire una volta, fatto le scuole basse, poi quelle alte e anche ancor più alte dell’Università quando chi governava i destini di una qualsiasi scuola, si chiamava direttore didattico per le materne e le elementari statali, preside per le scuole medie, ancora preside per le scuole superiori e, per la terza volta, preside per quel che riguardava le facoltà universitarie non ancora parcellizzate nel numero impressionante e, a nostro avviso, pesantemente dispersivo, dei loro corsi di laurea, così come capita nel tempo presente.

Chi legge questo giornale, sa benissimo che di tutto possiamo essere tacciati, eccetto che di passatismo. E’ vero che chi scrive non vive più l’età della giovinezza. E’ vero che chi scrive è ormai largamente un over 50, ma quello che ho imparato a scuola ha aiutato il sottoscritto e, dunque, indirettamente, ci ha aiutati, in quanto io rappresento e sintetizzo la linea e il racconto di questo giornale, a guardare avanti e a combattere quel naturale senso della nostalgia che spesso e volentieri, si impadronisce di chi, andando avanti negli anni, utilizza la celebrazione di un passato, a suo dire luminoso, idilliaco, perfetto rispetto ad un presente catastrofico e decadente, per cibare la propria umanissima tristezza legata al tempo che passa, alle dinamiche del panta rei.

Sono gli strumenti che ho acquisito e che ho messo a disposizione di CasertaCe a fornirmi l’antidoto di una lettura positivista, liberale e pienamente inserita nel tempo che mi trovo e ci troviamo a vivere per raccontare un tempo normale, con i suoi pro ed i suoi contro, un tempo nuovo, perché nuove sono le tecnologie che la scienza ci mette a disposizione; un tempo non migliore e non peggiore di quello andato, al di là di ciò che può essere un pensiero personale sul proprio incanutimento o sulla necessità di essere più morigerati, più sagaci nelle selezione delle proprie performance sessuali, rispetto a quando eravamo giovanotti (se non diciamo una cazzata, non riusciamo nemmeno a compensare la obbligata necessità di essere fin troppo seri in questi articoli).

Per cui, la valutazione che noi facciamo sulla scuola di prima, quella in cui i presidi dovevano esser stati, o essere, addirittura ancora, professori, docenti, status assolutamente propedeutico per accedere ad un concorso, per assumere una posizione apicale nell’amministrazione e nella pianificazione organizzativa di una struttura dell’istruzione, mira a costruire un ragionamento scevro da ogni pregiudizio e, dunque, da ogni condizionamento di tipo umano, sentimentale, emotivo sul bel tempo che fu, che risponde, a mio avviso e a nostro avviso, al percorso psicologico di una qualsiasi persona che attraversa le varie stagioni della sua vita.

Ma la psicologia non c’entra nulla con l’analisi dei costi e dei benefici di una riforma che ha proiettato al vertice delle scuole italiane, la figura dei cosiddetti dirigenti scolastici.

Va subito premesso che nella vita di questo giornale non abbiamo mai incontrato una riforma legislativa che non contenesse, ai nostri occhi, degli elementi prevalentemente positivi.

Quando leggiamo una norma, un testo unico, una legge, ne usciamo, infatti, sempre soddisfatti, quasi felici perché, riga per riga, il nostro commento è sempre lo stesso: “E questo è giusto…e questo è interessante…beh, se questa norma funziona, il Paese ne trarrà sicuramente un beneficio”.

Eh già, se funziona…!!

In Italia e soprattutto al Sud, il problema è proprio questo. Si prende una legge e le norme che la formano e si applica all’italiana, alla meridionale-maniera.

Per cui, se una norma stabilisce uno standard, una cifra relativa alla preparazione di chi dovrà svolgere alte funzioni istituzionali, potrà anche capitare, nei casi di altissima immoralità e perdizione, che quello standard sia addirittura violato.

Il più delle volte però, sarà, anzi, sarebbe meglio dire, apparirà rispettato, perché coloro i quali o le quali saranno chiamati o chiamate per effetto, ad esempio, di un concorso pubblico per ricoprire un ruolo apicale nella pubblica amministrazione saranno, pardon, appariranno quasi sicuramente in ordine, in linea con ogni requisito stabilito dalla legge.

Il problema, che è poi la grande questione italiana e la vera questione meridionale di oggi, è rappresentato dall’aumm aumm; ad esempio, dalla qualità delle lauree acquisite, a suo tempo, da chi si è presentato ad un concorso per dirigente scolastico. Stesso discorso per tutti i titoli che riempiono i fascicoli di chi chiede di partecipare al concorso, in questo caso a quello di dirigente scolastico.

Stesso discorso, anzi, anche peggiore, come ben sanno i lettori di Casertace che tanti articoli hanno letto sul modo in cui si sono sviluppate le procedure, qui a Caserta, ma non solo a Caserta, i concorsi per le dirigenze scolastiche per gli standard di preparazione da rispettare e da possedere per sedersi davanti ad una commissione che, formata da persone che, sulla carta, dovrebbero essere autorevolissime, preparatissime, concentrate sull’aspetto della meritocrazia, dovranno decidere se quel concorrente potrà o non potrà dirigere le sorti di una scuola con 300, 400, 1000 o, addirittura, 2000 alunni.

E’ tutta la filiera ad essere, a nostro avviso, bacata.

La legge di riforma che ha mandato in soffitta la figura del preside scolastico di un tempo, non è sbagliata in linea di principio, ma è sbagliato inserirla nel corpo legislativo italiano. E’ sbagliato inserirla in posti, come quelli in cui noi viviamo, in cui anche per chiamare l’ascensore devi raccomandarti a qualcuno e nel momento in cui lo fai, ritieni di non avere più nessuna necessità di imparare a pigiare il tasto. E allora, quanto meno, i presidi pre-riforma sapevano, in linea di massima, leggere e scrivere.

Attenzione, non è che dall’Università post Sessantotto siano usciti grandi professori, ma certo qualcosa in più rispetto all’epoca-Pegaso, all’epoca delle lauree triennali e delle magistrali parcellizzate e poi omogeneizzate, come un mosaico di quelli che ti rompono la testa, con migliaia e migliaia di tessere.

Il processo di formazione dei cittadini italiani non ha ingranato una marcia contraria, non ha attivato un’inversione di rotta, ma è finanche peggiorato rispetto a quello che dalle Università usciva negli anni Settanta e Ottanta. Quanto meno, quei presidi avevano trascorso tante ore della loro vita professionale nelle aule, a stretto contatto con gli alunni e poi, fuori dalle aule, con il personale non docente.

Se proprio erano degli ignoranti, e vi garantiamo, ce n’erano, se proprio erano pseudo docenti che imparavano a memoria il giorno prima l’argomento-pappardella da ripetere agli studenti durante la lezione del giorno dopo, potevano, quanto meno, sfoggiare una esperienza pratica sulle problematiche di una classe, essendo, magari, capaci di capire se uno studente o una studentessa il mal di pancia ce l’avesse sul serio, o se marcasse visita per evitare un’interrogazione.

Se i cosiddetti manager e le cosiddette manager di oggi fossero realmente preparati e preparate da severi corsi di formazione e, poi, da severissimi percorsi di preparazione ai concorsi; se non accadesse, come invece è accaduto e accade, e come Casertace ha dimostrato inconfutabilmente più volte con l’allora dirigente scolastico Francesco Marcucci, ex sindaco di Alvignano, pace all’anima sua, ricettore di cifre importanti e contemporaneamente commissario di esami svoltisi (ci riferiamo sempre al contesto casertano) immancabilmente, negli spazi dell’istituto ex-magistrale Manzoni, la loro location quasi esclusiva; se la realtà delle cose fosse diversa da tutto ciò che appartiene ad una filiera di azioni, generatrici e protettrici di un sistema di corruzione morale e materiale, allora, ok, grande preparazione, concorsi severi ed imparziali, condotti da gente di prim’ordine da un punto di vista morale e culturale, evviva i dirigenti scolastici, che hanno sostituito i vecchi presidi.

Al massimo, dovranno fare solo un po’ di training esperienziale per respirare anche loro l’aria che si respira in una classe popolata da studenti di ogni caratteristica.

Ma siccome non è così, siccome al rango di dirigenti scolastici arrivano soprattutto persone – poi, per carità, ci sono le eccezioni che mai come in questo caso, però, confermano la regola – le quali ignorano anche i rudimenti minimi della storia culturale del nostro Paese e che ignorano, con buona pace della missione manageriale, essenza stessa della riforma, anche i rudimenti di una modalità di organizzazione delle risorse umane in base a sistemi moderni, fondati su algoritmi da maneggiare e mediare con la sapienza e la saggezza umane, allora è normale che non ci sia un dirigente o una dirigente di una scuola, nel caso di specie, di una scuola casertana, che alzino il telefono, oppure che si mettano davanti a una tastiera, ed esprimono la loro posizione nel momento in cui la scuola che governano (anche in questo caso, si fa per dire) entra nel racconto non edificante delle cronache di un giornale, così com’ è successo, ad esempio, in questi giorni, alla Colleciini.

E che sarà mai! Il dirigente di questa scuola Antonio Varriale può attraversare un momento di difficoltà, legato a questa storia dei cibi vomitevoli, senza per questo ritenersi responsabile tout court o comunque responsabile in una misura tale da incidere sulla propria reputazione professionale.

Qui nessuno intende istruire processi. La gente, soprattutto i genitori degli alunni della Collecini vogliono capire.

Ma lo sa il dottor Antonio Varriale, quali siano le prerogative di un dirigente scolastico e in che cosa queste integrino quelle e/o differiscano da quelle dei vecchi presidi?

Il dottor Varriale non è un preside di antico conio, ma un manager, che è stato messo lì anche per interpretare queste prerogative, tra le quali occupa un rango di avanguardia il confrontarsi, l’interloquire con l’esterno, con il mondo dell’informazione e non per star lì a pesare col bilancino le proprie azioni, perché, magari, questi possono urtare la suscettibilità del sindaco o dell’assessore alla Pubblica istruzione di Caserta, o anche quella della dirigente scolastica provinciale, definizione, questa, a sua volta riformata, di quella di Provveditore agli Studi che prima connotava l’apice della potestà amministrativa per delega ministeriale, del sistema dell’istruzione primaria e secondaria in ogni provincia e anche in ogni regione.

Non ci vogliamo accanire contro Antonio Varriale. Lui esprime, infatti, un comportamento, anzi, un non comportamento speculare a quelli della dirigente della Dante Alighieri, Tania Sassi, non ne parliamo proprio di quello della dirigente del Giannone-De Amicis.

A quale categoria valutativa, diversa da quella riguardante la profonda e scandalosa inadeguatezza dei processi amministrativi che possono condurre un qualsiasi laureato in Scienze Politiche, in Giurisprudenza, in Economia e Commercio a vincere un concorso per dirigente scolastico, venendo catapultati da uno status che, il più delle volte, è quello di disoccupati, da giornate passate magari a bighellonare di qua o di là, o a brigare dentro a certe stanze, a certi uffici, a certe case e non andiamo oltre; dicevamo, a quale categoria valutativa possiamo rapportarci per trovare una ragione definitoria del comportamento, pardon, ripetiamo ancora, del non comportamento dei dirigenti scolastici che, molto mediocremente, lo diciamo con il massimo rispetto per le loro persone, portano avanti, pardon, indietro, le sorti delle loro scuole, come emerge dai tanti articoli che noi pubblichiamo giorno dopo giorno e, forse, anche (il caso, come detto, va ancora chiarito fino in fondo) da quei vermi e da quei capelli che abitano, riteniamo da ospiti indesiderati, i pasti dei bambini della Collecini?