Clan dei CASALESI e MOZZARELLA d’oro. Perchè il titolare del caseificio Rosano dice, secondo noi, la verità. Il codice di integrazione sociale conosciuto dalla camorra di Walter Schiavone e da chi ci ha convissuto non certo malaccio

20 Luglio 2021 - 12:01

Per noi lo stralcio dell’ordinanza che pubblichiamo oggi non fa che confermare una solida idea che ci siamo costruiti negli anni in base alla tonnellata di atti giudiziari consultati e anche alla conoscenza diretta di fatti e personaggi di quel territorio, sulla particolarissima e fondamentale relazione tra i boss e i paesi in cui sono nati e vissuti. Chi pensa ad una roba simile a quella del criminale invisibile ed inafferrabile, è lontano mille miglia dalla realtà

 

CASAL DI PRINCIPE(g.g.) Il caseificio Rosano è una realtà commerciale solida con due punti vendita nel centro di Casal di Principe, precisamente in via Roma e in Corso Umberto, arteria che com’è noto, confina anche con il perimetro comunale di San Cipriano e un altro a Gricignano d’Aversa, in via S. Antonio Abate. Pietro Rosano è stato ascoltato a lungo dai carabinieri del nucleo investigativo del Comando Provinciale di Caserta nel corso delle indagini che hanno condotto poi, circa un mese e mezzo fa, all’arresto di Walter Schiavone, terzogenito di Francesco Schiavone Sandokan e dei suoi presunti prestanome Antonio Bianco, Armando Diana, Nicola Baldascino.

Di testimonianze di commercianti che hanno avuto contatto con le richieste, le minacce, le istanze e anche con le vie di fatto del

clan dei casalesi ne abbiamo lette tante. Questa di Rosano che viene comunque inserita dal gip nel ragionamento complessivo che lo ha portato ad emettere l’ordinanza di arresto per i suddetti indagati, appare sostanzialmente scagionatoria nei loro confronti. Dunque, si potrebbe pensare di trovarsi di fronte al solito copione, da noi raccontato centinaia di volte, del commerciante, il quale, avendo paura e sapendo peraltro che gli indagati di cui sopra erano, al tempo dell’interrogatorio, ancora a piede libero o in parte a piede libero, dato che Walter Schiavone aveva un divieto di dimora in provincia di Caserta ed abitava in provincia di Isernia, non se la sente di raccontare la verità.

Esaminando bene, però, il contenuto della testimonianza di Pietro Rosano e passando la stessa nel setaccio di una esperienza, ormai consolidata, da noi maturata nella lettura di decine e decine di migliaia di pagine di ordinanza, simili a questa, abbiamo maturato una convinzione: se Pietro Rosano non ha proprio raccontato ogni dettaglio del suo rapporto con il gruppo criminale, ha, però, detto, sostanzialmente, la verità. Troppo dettagliata, troppo circostanziata la narrazione condita sempre da una indicazione di cifre, di contesti temporali esposti al cospetto degli inquirenti con la consapevolezza, vissuta evidentemente in maniera serena, che questi avrebbero potuto effettuare tutte le verifiche del racconto erogato. Insomma, almeno per come sono state verbalizzate, le parole di Rosano convincono, almeno noi. E tutto sommato ciò non deve stupire più di tanto perchè in noi abita da tempo la consapevolezza, frutto della conoscenza, una delle armi forti del clan dei casalesi è sempre stata costituita da un auto riconoscimento identitario.

Certo non siamo mai arrivati ai livelli di Cosa Nostra, della mafia che per decenni è stata in comunione sociale e politica con larga parte del popolo siciliano, rappresentandosi come la migliore testimonial della sicilianità, ma non siamo neppure tanto lontani. Nell’aberrazione di un regime fondato comunque sulla prevaricazione e la violenza, Schiavone, i suoi discendenti e i suoi adepti hanno avvertito sempre forte la loro appartenenza etnico-territoriale. Fino a quando ci sono stati, la droga non ha mai costituito, ad esempio, un’attività fondamentale e quando lo è diventata, soprattutto per la fazione Bidognetti, ciò è potuto accadere solo nel rispetto di un patto, il quale prevedeva che neppure un grammo di stupefacente doveva essere venduto a Casal di Principe e di conseguenza anche a San Cipriano e Casapesenna.

Ed è questo contesto, segnato dall’appartenenza, cioè da una variabile che conta, che consente ai commercianti insediati a Casale di ricercare altri modi per dimostrare le proprie attenzioni nei confronti dei boss. Così, costruivano rapporti fluidi, sereni con loro ed entravano in una sorta di involucro identitario che li esentava dal rischio di divenire oggetto dell’attività estorsiva. Per carità, nessun iconico “baciamo le mani” ma qualcosa di più concreto, di più tangibile, quand’anche fondato su un senso di rispetto il quale però confondeva le sue tracce tra il sussiego che si può avere per un mafioso o un camorrista il quale suscita paura e il camorrista che comunque “si difende la sua Casale” anche al di là del perimetro della propria organizzazione. L’avvento del business dei rifiuti pericolosi sotterrati anche attorno a Casale è servito, ma solo in minima parte, a ridurre la portata di coesistenza di queste variabili di relazione.

Ecco perchè riteniamo che quando Rosano dice di non aver ricevuto alcuna richiesta estorsiva e neppure di aver praticato alcuno sconto in quanto costretto e non solo per accontentare le pretese mai invadenti, formulate da Armando Diana, queste affermazioni, se non sono vere, appaiono, almeno ai nostri occhi, largamente verosimili. Una cartina al tornasole di quello che abbiamo scritto è rappresentata da un episodio che dal punto di vista della costruzione giudiziaria può essere anche poco rilevante, ma che molto rilevante diviene, invece, dal punto di vista della interpretazione del modo in cui si tesseva l’ordito dei rapporti tra i camorristi, gli imprenditori soprattutto commerciali di Casal di Principe e anche i comuni cittadini: quando Armando Diana si reca in uno dei punti vendita di Rosano per acquistare mozzarella che, dice, dovranno mangiare da amici, qualche ora dopo, in quel di Isernia, lui e Walter Schiavone, il commerciante, che ben conosce i codici della “creanza criminale”, risponde: dato che questa mozzarella la dovete mangiare tu e Walter Schiavone, la offro io.

Attenzione, questa frase non va minimizzata, soprattutto da parte di chi aspira ad articolare un’attività sociologica o storico sociologica del fenomeno camorristico in agro aversano. Non è una sciocchezza ma una modalità di integrazione che inserisce il commerciante in questione, nella specie Pietro Rosano, in quel contesto sociale e socio economico, in cui il clan, o meglio la sua espressione militare, ha rappresentato solo una componente rispetto ad una complessità che poi è la vera struttura che occorrerebbe conoscere fino al midollo, per capire cosa sia stato il clan dei casalesi e cosa bisogna fare realmente per evitare un suo ritorno di fiamma.

Ripetiamo, nello stralcio che pubblichiamo in calce, Rosano parla delle cifre stabilite al centesimo, delle vendite all’ingrosso, dell’acquisto particolare di un prodotto, delle mini mozzarelle che lui era tra i pochi a produrre e che Armando Diana aveva comprato per la sua distribuzione. In verità, Rosano dice anche che gli acquisti effettuati da Diana e da Baldascino, rispetto al quale confessa il proprio stupore dopo aver appreso del suo arresto per droga, avevano accumulato un credito di mille euro. Non una cifra elevatissima che nell’ambito di una relazione composita, in cui avveniva spesso che fosse Rosano a comprare i prodotti distribuiti dai caseifici targati Walter Schiavone, poteva rientrare, così come rientrò visto e considerato che l’imprenditore di Casal di Principe non pagò, per un periodo, realizzando in pratica una compensazione, il pane, prodotto dai forni di Morico, cioè dai due fratelli di Grazzanise, uno dei quali trapiantato a Santa Maria Capua Vetere e reduce da un processo per camorra che l’ha comunque assolto dalle accuse formulate a suo carico.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA

Sul punto le dichiarazioni del ROSANO Pietro (), co-titolare del caseificio, non aiutano a capire quale sia stato il vero motivo della sosta dato che, contrariamente a quanto da lui stesso riferito, DIANA Armando non si è affatto fermato a ritirare i soliti quantitativi; quest’ultimo infatti ha già intrapreso il viaggio insieme a BIANCO per andare ad incontrare VITTORIO Gaetana. Sta di fatto che dalle dichiarazioni, rese a verbale in data 14.7.2018, emerge che il Rosano (escusso su delega dell’A.G.) conosce benissimo tanto Walter quanto i suoi accoliti, con i quali ha anche allacciato rapporti commerciali per la fornitura di mozzarella; in particolare egli ammette  di essere a conoscenza che BIANCO lavora per conto di Walter SCHIAVONE, tuttavia ritiene che i rapporti instaurati non siano viziati da alcuna imposizione, anche se DIANA Armando, nell’ultimo periodo, ha chiesto ed ottenuto di pagare la mozzarella 50 centesimi in meno rispetto al prezzo normalmente venduto ai rivenditori.

Di seguito si riporta il verbale di s.i. reso dall’imprenditore. 

 

 “Premetto di essere titolare, unitamente a mio fratello ROSANO Francesco, del caseificio “ROSANO srl” con sede in Casal di Principe via Roma nr.4, ed altro punto vendita in c.so Umberto I civico 730 sempre in Casal di Principe, nonché uno di recente apertura denominato “RISTORO ROSANO”, ubicato in  via S. Antonio Abate in Gricignano D’Aversa (CE). Mi chiedete se conosco DIANA Armando e BIANCO Antonio, io vi rispondo che conosco entrambi da diversi anni; il primo è soprannominato “armandino”, il secondo “mammuth”. In particolare da qualche anno, per motivi commerciali, non ho più rapporti con BIANCO Antonio nel senso che non parlo con lui per un diverbio commerciale avvenuto qualche anno fa. Diversamente con DIANA Armando continuo ad avere rapporti commerciali. So benissimo che DIANA Armando è socio di fatto o realmente di BIANCO Antonio, e quest’ultimo è altrettanto notorio che ha sempre lavorato per conto di Walter SCHIAVONE. Voglio precisare che all’inizio  dei rapporti non sapevo che DIANA Armando era socio di BIANCO Antonio.—–—//

ADR: All’inizio di quest’anno sono stato contattato da DIANA Armando per la richiesta di fornitura  di mozzarella che avrebbe dovuto rivendere a suoi clienti; concordammo una fornitura giornaliera di circa 3.5 kg, ma spesso, nei fine settimana, è arrivato a chiederne anche circa 20-30 kg.-/

ADR: Conosco Nicola BALDASCINO da prima di DIANA Armando, con lui ho avuto a che fare per la fornitura di bocconcini di mozzarella da 7 gr.. Preciso che tale prodotto sono pochissimi i caseifici che lo confezionano. Circa un anno fa infatti il Nicola BALDASCINO venne a sapere di questa pezzatura di produzione e mi chiese di fornirgliene un chilo al giorno. Così ha fatto e puntualmente ha pagato alla cassa un chilo di prodotto per l’acquisto del quale emettevo lo scontrino con prezzo all’ingrosso corrispondente ad otto euro.——//

ADR: Solo negli ultimi mesi ho saputo che Nicola BALDASCINO collaborava con DIANA Armando e BIANCO Antonio. Sono rimasto esterrefatto quando ho appreso la notizia che Nicola era stato arrestato per droga.———//

ADR: DIANA Armando non mi ha mai raccontato personalmente che la sua attività di vendita di commercio di mozzarelle e pane a marchio “MORICO” era collegata a Walter SCHIAVONE, solo nel decorso periodo pasquale, quando venne a ritirare i soliti quantitativi, si presentò al caseificio e nell’occasione mi disse che gli serviva un ulteriore chilo o due, non ricordo bene, che doveva mangiare in compagnia del “suo compare Walter SCHIAVONE in Isernia”. Appreso ciò sono stato io in forma di cortesia a dirgli che quel chilo o due lo offrivo perché era diretto a Walter SCHIAVONE.

ADR: DIANA Armando e di conseguenza anche BIANCO Antonio hanno accumulato un debito di mozzarelle pari a circa mille euro. Io per rientrare di questi soldi, da circa un mese, non gli ho pagato la fornitura giornaliera di pane  “MORICO”.

Spontaneamente: il mio caseificio produce una mozzarella di alta qualità che ha dei costi  più alti rispetto ad altri prodotti di concorrenza. Voglio precisare ciò perché in più occasioni DIANA Armando ha cercato di acquistare quantitativi di mozzarelle ad un prezzo inferiore che io non potevo consegnare ne a lui e ne ad altri. Per intenderci DIANA Armando pagava un prezzo di favore pario a sette euro e cinquanta al chilo, mentre altri rivenditori la pagavo ad otto euro. Nel periodo estivo ovvero nell’ultimo periodo il prezzo della mozzarella è aumentato e DIANA Armando la pagava a otto euro e cinquanta. Preciso che i cinquanta centesimi che facevo risparmiare a DIANA Armando non erano imposti ma solo perché lui insisteva nel risparmiare.

ADR: In qualche occasione miei collaboratori si sono recati nel deposito di DIANA Armando e BIANCO Antonio in Villa di Briano. Io non ci sono mai stato perché come ho detto prima non parlo con BIANCO Antonio da diversi anni. Più volte DIANA Armando mi ha proposto un pranzo con BIANCO Antonio al fine di farci riappacificare, ma io ho sempre rifiutato. I miei collaboratori sono stati nel deposito per prelevare prodotti di Agerola che BIANCO Antonio e DIANA Armando commercializzavano.      

ADR: nel corso del tempo DIANA Armando ha sempre cercato di aumentare la richiesta di mozzarelle soprattutto nei fine settimana. Io ho sempre rifiutato di consegnargli ingenti quantitativi adducendo come scusa che non l’aveva prenotata in tempo. Io sono residente in S. Cipriano D’Aversa dalla nascita e tutta la mia famiglia è originaria di S. Cipriano. Come ho specificato all’inizio del presente verbale abbiano dei punti vendita ben individuabili, e quindi talvolta anche per sicurezza delle attività e delle persone che vi lavorano, non possiamo usare modi bruschi o comunque non possiamo usare un atteggiamento sconveniente, in pratica io devo rispondere sempre garbatamente a tutti. Non ho mai ricevuto minacce da DIANA Armando o imposizioni per la fornitura di mozzarella.

ADR: non ho mai ricevuto richieste di pagamento di tangenti o forme di regalie nelle canoniche festività di Natale, Pasqua o Ferragosto. Non abbiamo mai subito alcun danneggiamento o atti vandalici presso i nostri punti vendita.

ADR: circa un mese fa si è presentato nel mio negozio Salvatore, cognato di BIANCO Antonio, e mi ha chiesto se per il giorno successivo potevo fornirgli circa venti chili di mozzarella. Poiché sapevo che Salvatore era il cognato di BIANCO Antonio risposi che non avevo il latte per tale  fornitura.

Salvatore mi rispose che non c’erano problemi di prezzo e poteva pagarla anche a dieci euro al chilo. Io molto garbatamente e diplomaticamente gli feci capire che se veramente voleva pagarla a quella cifra poteva presentarsi direttamente al banco vendita e pagarla come un normale cliente, del resto, noi vendiamo più di venti chili giornalieri al banco vendita. In conclusione Salvatore non ha avuto i venti chili di mozzarella e fino ad oggi nemmeno DIANA Armando è venuto a fare i conti per la commercializzazione del pane e la mozzarella……OMISSIS…” (cfr. all. n. 22)